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Facciamo come a Stoccarda per ridare speranza alle economie depresse

, di Diana Cavalcoli
Le economie occidentali sono quelle che fanno peggio quando a mobilità sociale e redistribuzione della ricchezza, con il risultato che le disuguaglianze sociali crescono, spiega Paul Collier nel suo recente ‘Poveri e abbandonati’. Un trend che, per essere invertito, richiede che sia la finanza pubblica la prima a scendere in campo, ma con il coinvolgimento degli attori sul territorio. Come nella città tedesca che ha saputo trasformare i propri stabilimenti industriali per evitare la crisi

Lavoratori lasciati indietro, famiglie in difficoltà nelle grandi città così come nelle periferie, giovani con minori possibilità perché nati in economie depresse e dimenticate dalle amministrazioni centrali. Sono milioni gli abbandonati del mondo e sono più vicini di quanto non si pensi secondo Paul Collier. Nel suo racconto delle grandi masse dimenticate, nel saggio “Poveri e abbandonati” (Bocconi, University Press, 2024, 328 pagg., €25, in italiano), il professore di Economia e politiche pubbliche alla Blavatnik School of Government dell’Università di Oxford spiega come molte delle disuguaglianze che osserviamo oggi nascano da convinzioni errate in materia di politica economica. Una su tutte: il ritenere che qualsiasi area povera troverà la via del progresso grazie alle forze di mercato. 

«In questo senso penso che il Regno Unito - racconta il professore - sia un caso estremo, parte del libro è davvero una critica alla nazione, non solo perché mi capita di essere britannico ma perché è l'esempio più estremo di iniquità in tutto il mondo occidentale. Una condizione che ha contribuito alla Brexit e che ci offre molte lezioni da imparare». La prima, secondo Collier, è che quando si parla di aree povere bisogna superare la dicotomia Paesi sviluppati-Terzo mondo posto che sul “podio” delle disuguaglianze figurano angoli del Pianeta anche molto vicini a noi europei.

Collier evidenzia come le economie occidentali e centralizzate siano state tra le più inefficaci nel mitigare la povertà trasformandosi in Paesi dove la mobilità sociale è al palo, non c’è redistribuzione della ricchezza e crescono le disuguaglianze. Un fenomeno evidente analizzando il mercato del lavoro. Dice Collier: «Tutto parte dai lavori e dai mestieri. La Gran Bretagna è stata incredibilmente negligente nell'investire in competenze professionali. Penso alle competenze tecniche e specializzate: dall’edilizia alla sanità, che è l’industria del futuro ed è in crisi. La Gran Bretagna conta 18 delle 100 migliori università al mondo ma non sfrutta a sufficienza questa leva. Per esempio, formiamo solo il 40% dei medici di cui abbiamo bisogno ogni anno per il nostro Servizio Sanitario Nazionale e le università, ed è un fatto estremamente grave, hanno ormai perso il rapporto con il territorio».

Un autogol anche per il sistema produttivo perché «viene a mancare quell’ecosistema che aiuta le piccole imprese a crescere e ad avere accesso alla tecnologia e alle nuove soluzioni». Manca, in breve, una redistribuzione delle skill necessarie a sviluppare economie locali solide. «Abbiamo perso - sottolinea Collier - questa tradizione già negli anni Sessanta, quando le fonti di finanziamento delle università sono passate dai grandi industriali locali a Whitehall a Londra». Collier porta un esempio concreto: il South Yorkshire, un tempo polo dell’industria siderurgica, oggi contea più povera del Regno Unito. «Quando l'Università di Sheffield è stata fondata esisteva una partnership tra i lavoratori dell'acciaio e il barone dell'acciaio locale. Si è trattato di un meraviglioso esempio di comunità che si è riunita intorno al futuro, rappresentato dalla creazione di un'università. Oggi tutto questo si è perso, con l’eccezione di Cambridge e Oxford vicine all’industria finanziaria londinese, in favore di una centralizzazione del potere finanziario che ha indebolito molti territori», aggiunge.

Ma come invertire il trend una volta che i luoghi sono colpiti da uno shock depressivo? Per Collier posto che la finanza privata tende a fuggire dai luoghi colpiti dalle crisi, per invertire la tendenza la prima forza a scendere in campo deve essere la finanza pubblica che si assume per prima il rischio». Molto in questo senso possono fare le istituzioni comunitarie europee. E il riferimento è a realtà come la European Investment Bank e l’EBRD la European Bank for Reconstruction and Development che secondo Collier stanno accelerando molte rigenerazioni. Possibili solo a patto che coinvolgano anche gli attori sul territorio dalle università, intese come poli di ricerca e sviluppo, alle comunità locali. L’esempio per eccellenza è Stoccarda che a differenza di altre città sedi di grandi industrie automobilistiche come Detroit negli Stati Uniti, ha evitato la crisi trasformando i suoi stabilimenti industriali in centri e laboratori di innovazione. Non a caso, una parola ricorrente nel libro di Collier è agentività ovvero il conferire capacità di azione a chi vive nei luoghi lasciati indietro, garantendone la capacità di autodeterminazione. Il che è possibile se si creano le condizioni per politiche territoriali che siano bottom-up. Un modello che presuppone però l’esistenza di una classe politica all'avanguardia, in grado di sostenere il cambiamento. 

Fatte queste premesse, Collier spiega che il modello è replicabile nelle tante aree lasciate indietro nel mondo di oggi: dagli Stati Uniti al Giappone, dallo Zambia alla Colombia fino alle realtà a noi vicine. Parlando del nostro Paese il riferimento è alle potenzialità del Sud Italia che conta aree economicamente depresse. «Per rigenerare i territori - dice - occorre valutare i punti di forza dell’economia locale. In Puglia, ad esempio, nonostante ci siano criticità, dalla demografia agli investimenti carenti, ci sono enormi opportunità che vengono dal turismo ma anche dall'agricoltura, agevolata dal clima favorevole. Quello che manca ancora è l’ecosistema giusto per il rilancio». Oltre a forme di finanziamento esterne in grado di sostenere il rischio. «Senza finanza di rischio, la crescita rapida è impossibile. Sono convinto però ci sia speranza in questo senso in Europa. C'è un nuovo senso di realismo, credo, in tutta Europa, e l’Italia può essere un riferimento. Il governo tedesco è appena crollato così come quello francese: la vecchia partnership franco-tedesca è ormai superata e l'Italia è in una posizione favorevole oggi». L’Ue può avere la forza di crescere se unita secondo il professore. «Credo che il Rapporto presentato da Mario Draghi sia stato un ottimo campanello d'allarme per l'Europa. Penso che ci sia una reale possibilità che la Commissione europea sposti la sua attenzione da regolamenti che cercano di rendere le cose il più difficili possibile a regolamenti che incoraggino davvero i governi a investire nel futuro». Che passa dal rigenerare quei territori e dal riqualificare quei lavoratori abbandonati da tempo.