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Perche' il settore finanziario cresce. E perche' non e' un problema

, di Daniele Bianchi
Un recente articolo di Nicola Gennaioli, in collaborazione con Andrei Shleifer e Robert Vishny, mostra che tale crescita puo' essere direttamente correlata alla conservazione della ricchezza dell'investitore medio, e quindi puo' essere vista come effetto benefico

La crescita del settore finanziario relativamente all'economia reale è diventato di recente un argomento sempre più importante nel dibattito politico-economico. L'opinione comune è che il processo di "finanziarizzazione" dell'economia generi un aumento delle diseguaglianze e di conseguenza rappresenti un problema serio per la stabilità del tessuto economico-sociale. Senza ovviamente negare le problematiche legate alla speculazione, e più in generale a quelli che vengono definiti "problemi di agenzia", la crescente importanza del settore finanziario non rappresenterebbe di per sé un problema per l'economia. In effetti, considerando che la funzione principale della finanza dovrebbe essere quella di preservare la crescente ricchezza degli investitori, sembra naturale che il settore finanziario debba avere un peso sempre più rilevante in economie mature. Questo è probabilmente la conclusione più significativa di Finance and the Preservation of Wealth, un articolo di Nicola Gennaioli (Dipartmento di Finanza), Andrei Shleifer (Harvard University), e Robert Vishny (University of Chicago) pubblicato nel The Quarterly Journal of Economics (Volume 129 (3), doi:10.1093/qje/qju012).

L'evidenza empirica ha mostrato di recente come il peso della finanza rispetto al PIL sia cresciuto sensibilmente a cominciare dalla seconda guerra mondiale, e in particolare negli ultimi trent'anni, per molti paesi sviluppati. Tale crescita è dovuta in larga parte alla sempre maggiore presenza d'intermediari finanziari, in particolari gestori di portafoglio e intermediazione per mutui e credito al consumo. Senza tali intermediari, i risparmiatori avrebbero difficilmente accesso a prodotti complessi, legati ad esempio al mercato dei mutui. Curiosamente, nonstante l'aumento della presenza dell'intermediazione in generale, i costi di particolari investimenti, come hedge fund e private equity, sono rimasti constanti, diversamente dalle fee per veicoli d'investimento tipicamente meno rischiosi come i tradizionali fondi d'investimento.

In questo paper, gli autori sostengono che un elemento chiave nella crescita del settore finanziario sia la sua funzionalità in termini di conservazione della ricchezza per gli investitori. In media, gli intermediari finanziari permettono agli investitori non solo di mantenere i loro risparmi, ma anche di avere accesso a forme d'investimento che altrimenti gli sarebbero precluse. La crescente ricchezza media nei paesi sviluppati, unita al bisogno di conservare tale ricchezza, spiegherebbe quindi il consistente aumento della presenza degli intermediari finanziari nell'economia. Inoltre, secondo gli autori, come diretta conseguenza dell'incremento della presenza della finanza nell'economia, si ha una diminuzione dei costi sotto forma di fee pagate ai gestori. Questo, da un lato, crea un ulteriore incentivo agli investitori a partecipare a tradizionali forme d'investimento, dall'altro crea un crescente appetito per investimenti più rischiosi e più costosi. La conseguenza è che i costi unitari aumentano, sebbene la fee media per ogni dato prodotto diminuisca.

Tali risultati puntano decisamente a definire un ruolo positivo per il settore finanziario, in funzione della sua capacità di aiutare i risparmiatori nella conservazione della ricchezza. In tal senso, è naturale che il settore finanziario cresca in economie mature, sebbene non si possano in nessun modo tralasciare l'impatto negativo di comportamenti speculativi, e problemi di agenzia in genere, che talvolta sono legati ad un aumento del peso della finanza rispetto all'economia reale.