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Quando l’Impero divide: lezioni antiche sulla disuguaglianza che minaccia anche il presente

, di Barbara Orlando
Un nuovo studio di Guido Alfani confronta Roma e la Cina Han, mostrando come gli imperi concentrano ricchezza e potere. Dietro l’apparente stabilità, l’ombra lunga dell’estrazione economica, della marginalizzazione territoriale e delle rivolte

Cosa accade quando un impero cresce troppo? Quando l’apparato centrale si arricchisce a spese delle periferie, e la disuguaglianza diventa strutturale? Se lo sono chiesto Guido Alfani (Bocconi), Michele Bolla (Cambridge) e Walter Scheidel (Stanford), che in un recente articolo (A comparison of income inequality in the Roman and Chinese Han empires) pubblicato su Nature Communications hanno ricostruito con sorprendenti strumenti quantitativi il livello di disuguaglianza economica in due tra le più grandi civiltà della storia: l’Impero Romano e l’Impero Han cinese.

I risultati parlano da soli. L’indice di Gini, che misura la disuguaglianza dei redditi, da 0 (perfetta uguaglianza) a 1 (massima diseguaglianza), è stimato a 0,46 per Roma e 0,48 per la Cina Han. Valori elevati, paragonabili a quelli di alcune società contemporanee molto diseguali, e superiori a quelli di molte società medievali europee.

Ma non è tutto. L’indicatore forse più potente è l’“inequality extraction ratio”: una misura di quanto una società si avvicini al massimo teorico di disuguaglianza sostenibile (ovvero, quanto l’élite riesca a estrarre risorse prima che la base sociale collassi). Qui il divario è netto: Roma 69%, Han 80%, mentre l’Impero Azteco (incluso come confronto) tocca un impressionante 89%. “Una società più estrattiva è anche più fragile”, spiega Alfani, direttore del centro Dondena della Bocconi. “E la storia lo dimostra”.

Le élite al centro, le province al margine

Per ottenere questi risultati, gli autori hanno ricostruito non solo i livelli di reddito pro capite (usando come proxy l’urbanizzazione per Roma e la densità di popolazione per l’Han), ma anche tabelle sociali dettagliate per ciascuna regione, le “social tables”, combinando dati storici, censimenti e modelli comparativi.

Il quadro che emerge è affascinante. Nell’Impero Romano, tre province oltre all’Italia superavano le 2,5 volte il reddito di sussistenza, segno di una certa diffusione del benessere. Al contrario, nella Cina Han solo la regione del Sili, attorno alla capitale Chang’an, raggiungeva simili livelli, lasciando il resto del Paese in una condizione di relativo impoverimento. Questo squilibrio è dovuto a precise scelte politiche: mentre Roma integrava le élite locali e incentivava lo sviluppo urbano in periferia, i sovrani Han temevano l’autonomia locale e praticarono la rimozione forzata delle famiglie più ricche verso la capitale almeno sei volte in un secolo.

“Queste migrazioni forzate”, spiega Alfani, “avevano lo scopo di rafforzare il centro e neutralizzare i poteri intermedi. Ma nel lungo periodo hanno impoverito le province, esasperando le disuguaglianze territoriali”.

Fisco, esercito e burocrazia: i meccanismi dell’estrazione

Il paper entra nei dettagli dei meccanismi fiscali: Roma applicava imposte variabili a seconda della storia e della capacità economica delle province (l’Italia era addirittura esente dal tributo fondiario), mentre l’Han imponeva un’aliquota uniforme su tutto l’Impero, apparentemente equa ma in realtà cieca rispetto alle disparità reali.

A Roma, inoltre, la spesa militare fungeva da strumento redistributivo: le legioni erano spesso stanziate nelle province di confine, trasferendo lì parte delle risorse pubbliche. Al contrario, l’Impero Han, con un esercito meno professionalizzato e meno distribuito, privilegiava la burocrazia, composta però da funzionari ben pagati e concentrati nel Sili, accentuando il divario centro-periferia.

Un mondo di pochi ricchi e molti poveri

I dati sulle quote di reddito sono impressionanti: il 5% più ricco deteneva il 37% del reddito a Roma, e il 42% nella Cina Han, mentre il 50% più povero si fermava al 25% e 24% rispettivamente. Un mondo piramidale, dove la ricchezza saliva verso l’alto come l’incenso verso gli dei.

Eppure, nonostante tutto, Roma riuscì a reggere ancora per secoli, mentre la Cina Han fu travolta da una crisi politica già pochi anni dopo il 2 d.C., l’anno analizzato nello studio. Il cancelliere Wang Mang, salito al potere nel 9 d.C., provò a redistribuire le terre e a introdurre un’imposta sul reddito del 10% per le professioni qualificate. “Fu una delle prime vere riforme sociali della storia”, nota Alfani. Ma fallì. Le élite si opposero, le province erano già allo stremo, e le campagne esplosero con le rivolte dei “sopraccigli rossi” (Chimei). L’Impero Han non si riprese mai del tutto.

Oggi come ieri? Lezione per le democrazie moderne

Cosa ci insegna tutto questo? “Le grandi disuguaglianze territoriali non sono un problema solo del passato”, riflette Alfani. “In Gran Bretagna, lo squilibrio tra Londra e il nord industriale ha avuto un ruolo determinante nel voto per la Brexit. E anche in Italia, in Francia, negli Stati Uniti, vediamo segnali simili: la disuguaglianza tra regioni riduce la coesione sociale dello Stato.”

Il rischio non è solo economico, ma politico. Un eccesso di estrazione senza redistribuzione può innescare instabilità, rabbia, disaffezione. In un mondo che oggi si confronta con nuove disuguaglianze - tecnologiche, climatiche, generazionali - il passato non offre ricette, ma avvertimenti. E talvolta, come in questo caso, lo fa con la voce ferma della storia e la precisione di un modello quantitativo.