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La disuguaglianza nasce prima della storia

, di Barbara Orlando
Un progetto globale riscrive le origini della disparità economica partendo da un dataset archeologico per indagare la disuguaglianza nel lungo periodo. Mattia Fochesato è tra i ricercatori coinvolti

Che cosa ci raccontano le fondamenta di una casa preistorica sulla ricchezza del suo proprietario? Più di quanto si pensi. È da questa semplice domanda che prende le mosse il progetto GINI – Global Dynamics of Inequality – una delle più ambiziose imprese scientifiche mai realizzate per ricostruire le dinamiche economiche del passato remoto. Il risultato è stato appena pubblicato in uno special issue della prestigiosa rivista PNAS, e rappresenta una svolta per l’archeologia, la storia economica e le scienze sociali in generale.

Alla base del progetto c’è un dataset straordinario: circa 45.000 abitazioni analizzate in più di 1.000 osservazioni archeologiche provenienti da tutto il mondo: da più di 20.000 anni fa in Asia occidentale fino al XX secolo in Melanesia. I dati includono le superfici abitative e, quando possibile, le capacità di stoccaggio, usate come proxy della ricchezza materiale. I ricercatori hanno calcolato, sito per sito, i coefficienti di Gini per stimare i livelli di disuguaglianza interni alle comunità del passato.

Ma il progetto GINI non si limita alla ricostruzione storica. Uno degli obiettivi è infatti comprendere se e come queste stesse metriche – la distribuzione delle dimensioni delle abitazioni, in particolare – siano ancora oggi un indicatore efficace della disuguaglianza economica. I ricercatori hanno confrontato i dati archeologici con grandi database abitativi contemporanei e indicatori economici associati.

«Questo ci permette di chiudere il cerchio, confrontando l’archeologia con il presente», sottolinea Mattia Fochesato, storico dell’economia e assistant professor al Dipartimento di Scienze sociali e politiche dell’Università Bocconi, co-autore di tre articoli del numero speciale. «Stiamo cercando di capire se i meccanismi che legano la forma degli insediamenti alla distribuzione della ricchezza funzionano ancora oggi, e in che misura le regolarità che osserviamo nel passato ci parlano delle società contemporanee. La disuguaglianza economica non è solo un problema di oggi», aggiunge Fochesato, «è un’espressione strutturale delle modalità con cui gli esseri umani producono, accumulano e trasmettono risorse nel tempo. Studiare questi processi nel lungo periodo ci aiuta a riconoscere le forze che li generano, anche nel presente.»

Quando la terra batte il lavoro

Nel primo studio, Labor, land, and the global dynamics of economic inequality, Fochesato e colleghi mettono alla prova un modello economico fondamentale: le società in cui la produzione è vincolata dalla terra e non dal lavoro tendono a mostrare livelli di disuguaglianza più elevati. Questo perché la terra – o altri beni materiali ereditabili come il bestiame da tiro – può essere accumulata e trasmessa tra generazioni, a differenza del lavoro umano libero.

L’analisi, condotta su centinaia di siti classificati in base al tipo di regime produttivo, mostra che le società “land-limited” presentano Gini significativamente più alti rispetto a quelle “labor-limited”. E il dato vale in tutti i continenti, dalle terrazze agricole incaiche del Sud America alle campagne irrigate della Mesopotamia.

«La transizione da regimi basati sul lavoro a regimi basati sulla terra non è legata solo all’agricoltura in sé», sottolinea Fochesato. «Conta come si organizza la produzione, se ci sono animali da trazione, sistemi irrigui, se il surplus è concentrabile. Questi fattori hanno effetti di lungo periodo sulla distribuzione della ricchezza.»

Gerarchie che generano disuguaglianza

Nel secondo studio di cui Fochesato è co autore, Economic inequality is fueled by population scale, land-limited production, and settlement hierarchies across the archaeological record, si dimostra come l’espansione delle società in termini di scala demografica e struttura politica sia un altro motore potente di disuguaglianza.

Utilizzando indicatori come il numero di livelli gerarchici nei sistemi insediativi e la posizione relativa dei siti (“basali” o “apicali”), lo studio mostra che la disuguaglianza tende a crescere nei centri più grandi e più collegati. I Gini più elevati si trovano nei siti al vertice delle gerarchie regionali, mentre i villaggi più periferici restano più egualitari, anche a distanza di secoli dall’introduzione dell’agricoltura.

«Non è solo l’economia a contare», spiega Fochesato. «Quando cresce la popolazione, crescono anche le possibilità di concentrare potere, e le disuguaglianze si amplificano. Le gerarchie insediative diventano strumenti di accumulo per le élite locali.»

L’effetto è ancora più marcato nelle società che adottano sistemi politici complessi, con istituzioni centralizzate o reti commerciali strutturate. Il progetto definisce questo processo come polity-scale effect: più grande e complessa è l’organizzazione politica, maggiore è il potenziale di disuguaglianza.

Misurare la disuguaglianza a più livelli

Nel terzo studio, Toward multiscalar measures of inequality in archaeology, firmato da Enrico Crema, Fochesato e altri, il team affronta un aspetto metodologico cruciale: la scala di osservazione conta. Finora, la maggior parte delle analisi sulla disuguaglianza si è concentrata sul singolo sito. Ma cosa succede quando allarghiamo lo sguardo a una regione o a un intero sistema culturale?

Il paper propone un modello a tre livelli:

  • α-inequality: la disuguaglianza interna a ciascun sito;
  • β-inequality: la variazione di disuguaglianza tra i diversi siti di una stessa regione;
  • γ-inequality: la disuguaglianza aggregata a livello regionale.

Lo studio mostra che la γ-inequality può essere molto più alta della media dei Gini locali, soprattutto in società complesse, dove grandi città convivono con insediamenti rurali molto più modesti. Questo scarto (δ-inequality) diventa un indicatore prezioso per capire quanto una società concentri la ricchezza in poche élite urbane.

«Guardare solo al sito locale può farci perdere la complessità delle disuguaglianze regionali», commenta Fochesato. «Al contrario, il confronto multiscalare ci mostra dove e quando si accumula la ricchezza in modo sistematico.»

Un archivio per il futuro

Il progetto GINI non è solo una raccolta dati: è una nuova infrastruttura scientifica per indagare le origini storiche delle disuguaglianze economiche. Il database – che continua a crescere – include siti da regioni ampiamente trascurate nei precedenti studi, come l’Africa subsahariana, l’Asia meridionale, le Ande e la Melanesia. Si basa sull’analisi sistematica delle aree abitative e delle capacità di stoccaggio, integrata da indicatori culturali, politici e ambientali, e supportata da un’ampia rete interdisciplinare di ricerca.

Il progetto è guidato da: Amy Bogaard (University of Oxford); Timothy A. Kohler (Santa Fe Institute) e Scott Ortman, (Santa Fe Institute). 

Il finanziamento principale del progetto proviene dalla National Science Foundation, con il supporto aggiuntivo del Coalition for Archaeological Synthesis (CfAS) e del Center for Collaborative Synthesis in Archaeology (CCSA).

A rendere possibile la realizzazione di un dataset di portata globale è stata anche la collaborazione di oltre venti istituzioni accademiche e scientifiche in tutto il mondo: tra queste figurano l’Università di Oxford, il Field Museum di Chicago, l’Università di Cambridge, il CONICET in Argentina, l’Università di Bonn e, per l’Italia, l’Università Bocconi attraverso il Dondena Centre for Research on Social Dynamics and Public Policy e il Bocconi Institute for Data Science and Analytics (BIDSA).

«Studiare la disuguaglianza nel lungo periodo ci aiuta a vedere le regolarità dietro la complessità», conclude Fochesato. «Non per giustificare il presente, ma per capirne le radici profonde. È anche un modo per riflettere su quali società hanno saputo limitare la concentrazione della ricchezza — e perché.»